Canapa in tutte le salse: dalle piadine alla birra alle magliette, dai lecca-lecca al cioccolato fino alle infiorescenze in bustina, il tutto avvolto da un aroma inconfondibile che impregna l’intero palasport. All’Unipol Arena di Casalecchio, alle porte di Bologna, è appena cominciata Indica Sativa Trade, la fiera più importante d’Italia in tema di cannabis legale, coi suoi 200 espositori. Gli stand aumentano di anno in anno, più 33% rispetto all’edizione dell’anno scorso, così come crescono nel nostro Paese le attività legate alla coltivazione e alla distribuzione della canapa: le aziende agricole nate l’anno scorso sono duemila, mentre i grow shop, cioè i negozi dove si vendono cannabis e prodotti connessi, spuntano come funghi in tutta Italia e nel giro di dodici mesi sono aumentati del 75%, raggiungendo quota 700. Tutto questo vale un giro d’affari complessivo stimato intorno ai 50 milioni di euro.

Sembrerebbe una situazione florida, e invece sull’intero settore pende la spada di Damocle della sentenza che la Corte di cassazione a sezioni riunite emetterà alla fine di maggio, quando si decideranno le sorti delle infiorescenze della canapa: se potranno o no essere vendute, in quali modalità e con quale percentuale di Thc, il principio attivo contenuto nella cannabis. La formulazione della legge 242 del 2016, che nulla dice delle infiorescenze né della loro distribuzione, limitandosi a stabilire un principio attivo compreso fra un minimo di 0,2 e un massimo di 0,6%, è stata infatti alla base di una serie di sequestri giudiziari nei grow shop che hanno seminato il panico fra gli operatori. Esemplare la vicenda di Indoor Nova, azienda marchigiana: «Lo scorso giugno due nostri negozi a Macerata e uno ad Ancona sono stati perquisiti dalla polizia, che ha sequestrato circa 12 chili di infiorescenze di canapa industriale, nonostante tutto fosse accompagnato da regolare documentazione – spiega Lorenzo Castignani, uno dei soci -. Un commesso ha dovuto trascorrere una notte in questura, e l’attività ha subito danni per 50mila euro, oltre alle spese legali. Abbiamo ridotto il personale, da 6 a 3 persone. Gran parte della merce ci è poi stata restituita dopo sei mesi».

«C’è una situazione di assoluta incertezza – aggiunge l’avvocato Carlo Alberto Zaina, che difende Indoor Nova e altre imprese colpite da provvedimenti analoghi -, la filiera della distribuzione non è disciplinata dalla legge, ci sono dubbi sul fatto che siano ammesse le infiorescenze e la stessa Cassazione si è espressa in modo diverso: la sesta sezione ha sostenuto la liceità del commercio e ha fatto restituire la merce, mentre la quarta aveva deciso in senso sfavorevole. Ecco perché, il 30 maggio, la Corte si pronuncerà a sezioni unite». Nel frattempo, chi ha avviato un’impresa continua a lavorare con qualche apprensione anche se, come Franco Luciani da Frascati e la moglie Maria Pia Bruni, con la loro Medieval Canapa Beer, non vende infiorescenze ma birra alla cannabis: «Avevamo cominciato con la lager chiara, poi abbiamo conosciuto amici che coltivano cannabis e insieme a nostro figlio abbiamo prodotto la birra alla canapa. Un giorno però sono arrivati i carabinieri e ci hanno multato dopo un controllo in un negozio che vendeva la nostra birra: 1.400 euro. Abbiamo pagato subito senza fare ricorso per evitare le spese legali».

Luca Marola, fondatore di Easyjoint, la principale realtà italiana (ha 12 grow shop e rifornisce oltre 300 negozi anche all’estero), è fra gli organizzatori di Indica Sativa Trade. Se le infiorescenze oggi vengono commercializzate in tutta Italia lo si deve a una sua azione di forza due anni fa: «Abbiamo deciso di venderle anche se la legge sull’argomento non era chiara, ed è stato subito un boom. Non ci siamo fermati lì, abbiamo aperto la Cannabis School per fare formazione in campo agronomico, commerciale, marketing e legale, in modo che il settore si sviluppasse correttamente e per creare una coscienza diffusa. Organizzeremo anche corsi a crediti per avvocati, farmacisti e medici». Lo scorso novembre, un gruppo finanziario canadese ha proposto il proprio ingresso nella società: il 47% delle quote per 4,8 milioni di euro, un balzo in avanti decisivo per Easyjoint. L’esito dell’affare, tuttavia, ora è subordinato alla prossima sentenza della Cassazione, così come il destino di buona parte della canapa light italiana.

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